Snob, ci si nasce o ci si diventa?
di Pigi Mazzoli
Pubblicato in "Pride", marzo 2003

Ma non era "gay, ci si nasce o ci si diventa"? A volte lo snobismo è stato usato come eufemismo per indicare l'omosessualità di qualcuno.

Difficile essere davvero snob, c'è sempre qualcuno che ci supera.


Snob, vocabolo entrato nella lingua italiana direttamente dall'inglese, ha cambiato via via il suo significato. La sua creazione, pare, deriva dall'abbreviazione "s.nob." (sine nobilitate: non nobile) che veniva annotata nelle anagrafi inglesi per distinguere chi non fosse nobile di nascita. Oggi indica una persona che assume un atteggiamento distaccato e di superiorità rispetto agli altri, con pose eccentriche e gusti raffinati propri di una classe sociale superiore alla sua, quindi il distinguersi allondanandosi da ciò che è comune agli altri. Un altro significato attuale, invece, gli fa perdere quella connotazione negativa che indica il voler apparire di classe sociale superiore e si limita a connotare il gusto eccentrico, stravagante, il volersi distinguere, anche riferito all'arte o alla cultura.
Vi chiederete cosa abbia a che fare tutto questo con una rubrica su Pride.
Allora cito direttamente il dizionario del Battaglia (ventuno volumi che mi stanno sfondando la mia interparete De Padova) alla voce snobbare: "Evitare marcatamente di frequentare un ambiente, di incontrare determinate persone ... ostendando disinteresse...". Ma questo non è il nostro classico atteggiamento gay? Quando ci spostiamo in massa da un locale all'altro, decretandone la fortuna per qualche tempo per poi abbandonarlo e tenercene lontani come dalla peste appena questo diventa troppo "frequentato"? Quando siamo certi di essere gli unici a poter scegliere dal mobile alla tendina, dalla scarpa alla sciarpa infondendo il nostro sublime, connaturato gusto per il bello? Ovvio.
Un po' non è colpa nostra, a molti è capitato che le amiche chiedessero consigli di trucco o vestiario solo perché sanno che siamo gay. Forse questo succedeva più una volta che ora, per fortuna certi luoghi comuni iniziano a scomparire, ma a me iniziavano sempre a rivolgersi con "Voi gay siete più sensibili e avete più gusto..." fino al punto da istigarmi ad una sorta di mimetizzazione evitando, ad esempio nel vestire, tutto ciò che fosse di moda. Al punto che il mio abbigliamento a tratti ora appare addirittura sciatto. Ma anche questo in fondo è snobismo, soprattutto quando si sta in una città dedicata alla moda, quando si è frequentato, per studio, per lavoro, un ambiente esclusivo per definizione (architettura, design, teatro...).

A me pare che gli eterosessuali abbiano spirito di corpo, che si sentano felici di essere in centomila dentro uno stadio, tutti con la stessa orrenda sciarpetta, tifando per la loro squadra. Noi, se non snobbiamo il tifo sportivo, abbiamo almeno l'accortezza di scegliere i più improbabili degli sport. Salvo poi abbandonare la passione appena questa diventi popolare (anni fa tifavamo per i nostri giocatori di rugby, ora vedo che le passioni vanno dalla lotta turca al lancio del palo in gonnella fatto dai nerboruti scozzesi).
In fondo, se mi tolgono gli incentivi per mettere su famiglia (anzi, se neppure mi permettono di sposarmi), se neppure sanno come chiamare il mio fidanzato ("porta il tuo amico...". Amico? Io ho tanti amici, quello è il mio fi-dan-za-to!), se mi rappresentano in una pubblicità solo se questo può avere un qualche effetto comico, che desiderio posso avere io di uniformarmi?
Lasciatemi divertire, lasciate che io sia snob. In tutte le sue sfumature, dal dandismo wildiano alla casereccia eccentricità depisisiana (oh, capperi! Sul Battaglia non c'è ombra di aggettivo riferito a De Pisis, passatemi il neologismo, suvvia!). Soprattutto perdonatemi quando sembro più snob di uno snob. Perché è vero, se per sentirsi massa basterebbe un solo modello valido per tutti, per distinguersi serve invece tanta fantasia. In aiuto arrivano tutti quei geniali snob che hanno fatto fin qui cultura, artisti, letterati... Basta studiarli, con amore, e apprendere i loro insegnamenti, Non per copiarli (orrore!) ma per trovare tramite loro il metodo per distinguersi. Che è poi il modo per propagarsi senza far copie del proprio DNA. Finché non ci permetteranno di adottare orfanelli non ci resta che farci amare e ricordare per ciò che siamo e che creiamo (certo che se ci lasciassero mettere su famiglia riusciremmo a creare dei collegi da far impallidire il giovane Törless).

Voi lo sapevate che il termine "gay" che ha cominciato a denominare l'omosessualità in modo meno ufficiale in realtà all'inizio era solo un timido eufemismo per definirci? Gli anglofoni definivano "gay" qualcuno, come da noi si usava "ambiguo" (ricordo che il cantautore Malgioglio, truccatissimo, in una delle sue prime apparizioni televisive, alla domanda della presentatrice riguardo alla sua omosessualità rispose "Io non sono gay, sono ambiguo"). Per cui dobbiamo essere grati alla cultura vincente, quella americana, perché ora ci chiamiamo gay e non ambigui, anche se questo ha voluto dire che dalle spiagge stanno sparendo gli slip (le mutandine molto corte ed aderenti che usiamo come costume da bagno e che chiamiamo direttamente col termine inglese) sotto l'invasione dei puritani bermuda (che sarebbero poi pantaloncini che arrivano al ginocchio). Ecco, dato che tutti li chiamano bermuda ora io sono fortemente tentato di chiamarli, sempre, pantaloncini.

Se negli anni sesssanta per distinguersi si doveva apprezzare la musica lirica, dieci anni dopo si scopriva che si doveva ascoltare in lingua originale, specialmente il verboso Wagner. Gli anni ottanta ci hanno portato una graziosa invasione di scialbe versioni inglesi di musica antica, soprattutto con sopranisti, e dieci anni dopo tutti a comprare solo musica barocca francese. Poi una bella riscoperta della musica sperimentale elettronica. Io ho seguito tutto, con minuziosa cura ho collezionato prima LP, poi CD. Ora mi sono buttato sugli MP3. Una fatica enorme. Ma una grande soddisfazione poter discettare di temi colti e astrusi coi parenti alle riunioni familiari.
Se siamo snob non dobbiamo farcene un cruccio, sta a a noi trasformare un epiteto in un complimento, un atteggiamento superficiale in un affrancarsi dalle mode.

Forse non sono nato snob, ma mi ci hanno fatto diventare.