Come il sommo poeta scoprì il giovanissimo talento della musica

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i Giovanni Iudica, ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi



Johann Wolfgang Goethe era solito consultarsi con il Maestro Zelter, suo intimo amico oltre che consigliere musicale. Zelter parlò al sommo Poeta di un enfant prodige, di appena dodici anni, che per bravura, tecnica e fantasia gli ricordava i portenti del giovane Mozart. Il 4 novembre 1821, Goethe accolse il fanciullo nella sua casa di Weimar. Il bimbo, dai grandi occhi scuri, timido, era accompagnato dal suo Maestro Zelter. Questi lo presentò al Poeta e ai suoi sceltissimi invitati: “Ecco il ragazzo di cui vi ho parlato, si chiama Felix Mendelssohn Bartholdy”. Zelter lo invitò a cimentarsi in un’improvvisazione e gli suggerì un semplice lied. Felix sviluppò il tema “aggiungendovi contrasti ben proporzionati che davano libero sfogo alla più ardente delle fantasie”. Allora Goethe invitò il bambino a suonare un minuetto e Felix, andando a memoria, interpretò quello del Don Giovanni. Goethe era rapito, amava la musica di Mozart. E allora chiese al ragazzo di suonargli l’Ouverture del Don Giovanni. Il bimbo, cosa che nessuno avrebbe neppure lontanamente potuto immaginare, gli oppose un rifiuto, osservando che quel capolavoro, suonato al pianoforte, sarebbe stato troppo penalizzato. Eseguì invece l’Ouverture delle Nozze di Figaro, “con una facilità di mano, una sicurezza, una rotondità e chiarezza di passaggi” da lasciare tutti sbalorditi. Il vecchio Goethe, che allora aveva superato i settant’anni, era ormai conquistato da quel giovane talento. Si ritirò nel suo studio e tornò con un pacco di spartiti. Ne posò uno sul leggio e Felix lesse senza difficoltà un adagio con molti passaggi in trentaduesimi: ancora Mozart. Poi Goethe posò sul leggio un altro spartito, olografo, che sembrava scritto da uno che usi non la penna, ma “un manico di scopa e che cancelli con la manica le note appena scritte”: era Beethoven! Due giorni dopo quell’incontro, Mendelssohn scriveva ai suoi genitori: “Ascoltatemi tutti e prestate attenzione: domenica ho visto Goethe, il sole di Weimar!”



Ogni giorno, il Poeta apriva il suo pianoforte per il suo nuovo pupillo. Felix suonava Bach, Mozart, Haydn e, qualche volta, Beethoven. Goethe provava un certo fastidio quando sentiva la musica di Beethoven: vi trovava troppa enfasi e troppo disordine. Prima di congedarsi dal suo Felix, Goethe gli regalò una copia del Faust con la dedica: “Al mio caro e giovane amico F.M.B., potente eppure delicato sovrano del pianoforte, in amichevole ricordo di giorni lieti”.








Qualche anno più tardi, Mendelssohn venne preso da un’autentica, ossessiva passione per Bach. Ebbe l’intuizione che Bach non era un noioso compositore di esercizi per sgranchire le dita sul pianoforte, come era considerato, ma un genio assoluto e totale. Trasmise questa sua ammirazione per il Sommo anche al suo amico Devrient, lui pure allievo del Maestro Zelter. Un bel giorno Mendelssohn e Devrient andarono da Zelter per convincerlo a organizzare una pubblica esecuzione della Passione secondo Matteo. Dopo molte perplessità e resistenze, Zelter, di malavoglia, cedette. E così, come ebbe a scrivere lo stesso Mendelssohn, “ dovevano essere un commediante e un ragazzo ebreo a far rivivere la più grande musica cristiana”. L’11 maggio 1829, avvenne la prima esecuzione e fu un successo travolgente. Bach era stato riscoperto, era risorto. Zelter scrisse a Goethe che era stato come essere “tra la terra e il cielo”. Goethe rispose: “È come se da lontano sentissi l’eco del mare”. Per questo auguro buona fortuna alla completa riuscita di ciò che sembrava quasi ineseguibile”.











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