(Alcune parti dell'articolo sono andate perse, fra un passaggio e l'altro di computer, nel tempo. Quando troverò l'originale cartaceo, potrò restaurare lo scritto)

Visibilità dei sieropositivi e sesso sicuro
di Pigi Mazzoli
Pubblicato sul mensile "Babilonia", ottobre 1997.

Da qualche anno a questa parte le tematiche legate all'AIDS sembrano essere sempre meno presenti nel mondo gay italiano. Sarà perché le statistiche dicono che i soggetti legati alla tossicodipendenza numericamente hanno superato i gay, e noi dopo aver strenuamente rifiutato il concetto di "categorie a rischio" ci siamo fermati e ora tacciamo perché non siamo più i primi dell'elenco, non siamo più additati come "untori". Noi abbiamo frainteso e abbiamo voluto capire che tutto ciò non riguarda più i gay, o almeno che ora ci tocca solo marginalmente. Il motivo e' che la prima immagine che si era formata riguardo la misteriosa e tragica sindrome riguardava solo noi, e ci colpevolizzava unendosi ad altre antiche "colpe" come il sesso promiscuo, le unioni instabili, le altre malattie veneree
(testo andato perso)
Ma l'AIDS non si e' allontanato da noi, si è solo diffuso anche altrove. L'unico posto da cui e' sparito sono le nostre coscienze. Questa rimozione collettiva ha cancellato come conseguenza ultima anche la visibilità di quanti di noi vivono come sieropositivi, come ammalati, come amici o amanti di sieropositivi e di ammalati. Non si parla più di AIDS nei luoghi gay del divertimento, "tanto basta fare sesso sicuro e ci sono le nuove medicine". Ma poi pochi sanno cos'è il sesso sicuro, pochissimi sanno gli effetti delle medicine (e la disinformazione li rende equipollenti, "faccio sesso sicuro, ma se dovesse accadermi qualcosa e m'ammalo mi curo tanto ci sono le medicine nuove"). E più ci si allontana dal grande centro urbano più ci si allontana dalla coscienza di questa presenza. E ancor più ci si allontana dalla conoscenza delle regole del sesso sicuro. Tutto questo per rimuovere cose non piacevoli: la paura di infettarsi, il dolore di fronte ad un infetto o ad un ammalato, il senso di impotenza. Il risultato e' che non si parla più di sesso sicuro, e che quindi lo si pratica sempre meno correttamente e anche meno assiduamente, e che si partecipa meno ai drammi altrui: "Sei …
(testo andato perso)
Tutto questo ha due sole eccezioni: i circoli culturali o politici e le associazioni di solidarietà che sempre hanno chiare la grandezza del dramma e la pericolosità di una simile collettiva rimozione e, all'estremo opposto, i rapporti personali più privati all'interno, e talvolta anche all'esterno, della comunità gay. Dieci anni fa il rapporto fra un sano e un infetto portava con se' un bagaglio così carico di paure, misteri, disperazione da impedire una reale conoscenza e una equilibrata partecipazione, come due mondi che unendosi potevano creare solo drammi ingestibili e insanabili dolori. Questa rimozione collettiva, se rimozione è stata, o questo "abituarsi" e non demonizzare il virus, se vogliamo essere indulgenti con noi, ha portato però, come unica dote, ad un reale miglioramento sia della qualità della vita dei sieropositivi (e specificatamente rispetto al vivere una felice e serena attività sessuale) sia rispetto ai rapporti, di ogni grado, fra infetti e sani. Perché, se è vero che l'AIDS non è costantemente presente nella coscienza di un sano, quando questa presenza viene evocata dalla improvvisa dichiarazione di sieropositività del partner questo non evoca più terrore e permette un reale e sereno rapporto. Questo accade quando si è praticato sesso sicuro o se avviene prima che ci siano stati rapporti sessuali. Ma non generalizziamo, esiste ancora una caccia alle streghe, esiste uno squallido, perché a fini di emarginazione, tam-tam su chi è sieropositivo e frequenta luoghi deputati al rimorchio, e questo l'ho constatato più frequentemente lontano dalle grandi città del cento-nord. È assurdo che proprio chi più porta avanti la caccia alle streghe è proprio chi meno conosce e pratica sesso sicuro e che, per conseguenza, è chi corre oggi più rischio di infettarsi. Quanta energia mal riposta. Non esiste però piu la colpevolizzazione per l'essere sieropositivo, come accadeva una volta, ma esiste purtroppo ancora quella per l'avere rap
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Ecco perché è ancora indispensabile che la comunità gay sia mobilitata ancora sul sesso sicuro e sulla possibilità di una vita normale per i sieropositivi, e questo cercando nuovi contatti, nuove strade per arrivare dove ancora non c'e' la conoscenza, perche' se facciamo un incontro parlando sul sesso sicuro in un circolo Arci colmiamo forse delle piccole lacune personali ma ci rivolgiamo solo a persone che gia' ne conoscono la necessità. Dobbiamo ora trovare il linguaggio e le strade per parlare al gay della piccola cittadina, quello che non vuole rovinare l'Amore con lo "sporco" preservativo; al ragazzo del sud che crede di diagnosticare la malattia ad occhio e crede di poter evitare l'infezione scegliendo i soggetti dall'aspetto sano; a chi, nel trasporto del momento, si lascia andare alla "leggerezza" di fare pratiche a rischio salvo poi vivere mesi d'incubo (una piccola nota: nei manuali nordeuropei di sesso sicuro si raccomanda di non bere alcolici prima dei rapporti perche' cio' potrebbe alterare la coscienza e far dimenticare le precauzioni da prendere: da noi questa nota è un po' incomprensibile perché non è abitudine italiana l'ubriacarsi sistematicamente quasi fino alla perdita della conoscenza per abbandonarsi al sesso, però capita anche questo, soprattutto da parte di chi non si accetta completamente e vive l'omosessualità come incontrollabile ma trascurabile piccola parte della propria persona ...
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Ritorno al forse unico elemento positivo emerso in questa analisi della sitazione attuale, alla recente possibilità di vita "normale" che i sieropositivi possono godere oggi. Abbiamo dimenticato il tempo in cui alla diagnosi HIV+ veniva associata una speranza di vita di non più di cinque anni? Quando si discuteva se ci si potesse infettare con le lacrime e gli starnuti? Quando in visita all'amico malato non si toccava nulla in casa e al ritorno ci si disinfettavamo le mani con l'alcool? Abbiamo fortunatamente dimenticato. È vero che molti di noi hanno posto eccessiva fiducia nei farmaci (e la stampa e certa letteratura ci hanno ingannati, nessuno guarisce, come qualcuno dice, e non a tutte le persone i farmaci riescono a salvare la vita ed esistono ancora malattie opportunistiche fatali). Ma nella media la durata e la qualità della vita sono arrivati a livelli allora insperabili. Grazie ai farmaci, certo, all'esperienza dei medici, e alle str
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Questo ha permesso una prognosi più benigna e la conseguenza e stata la possibilità di concepire una vita nonostante il virus. Anche se si e' sieropositivi si può pensare a costruire il futuro, da soli o in coppia, si ha diritto a essere desiderati, talvolta anche ad essere coccolati per questo (e perché no? Risarcimento per una sorte avversa). E i sani iniziano a capire anche che se un sieropositivo nasconde il suo stato, talvolta per lungo tempo, non è per malvagità bensì perché la società non ha mostrato pubblicamente di accettarlo. Perché è un po' come quando si fa l'outing: si immaginano chissà quali reazioni apocalittiche per poi scoprire un mondo di affetto e di rapporti più sinceri e profondi con chi ci sta attorno e non sapeva; così è per la sieropositività: finchè non si fa il passo di dirlo agli altri si immagina di essere scacciati quali indegni di una gioiosa sessualità e amicizia amorosa. E invece si scoprono mondi sconosciuti di affetto e partecipazione, hai finalmente l'idea di cosa possa essere la famiglia gay, un insieme di amore, soccorso e comprensione, persone che fanno di tutto per renderti felice, fidanzati che staranno al tuo fianco sopportando stoicamente tutto ciò di sgradevole che il destino porta con sé. Non per tutti, solo per chi vive serenamente la sieropositività, non per chi non riesce ad uscire dalla depressione, disperazione, sgomento, estraniamento, distacco che subentrano al test positivo. E qui ci si può solo augurare che i gruppi di solidarietà AIDS prosperino e crescano attivi, si deve aiutare, con ogni mezzo e con tutte le energie, a vivere chi non è in grado di trovare le risorse dentro di sé. E bisogna far tacere i pessimisti ("come, lei è sieropositivo ed è felice? È sicuro che non sta rimuovendo la sua sieropositività?", questo detto da uno psicologo; "Certo, ora reagisci ai farmaci, ma poi, quando non saranno più attivi? Mettiti il cuore in pace!", questo detto da un medico) perché basta ricordarsi che nessuno è immortale e nessuno sa quando morirà, si vive sempre s
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Questi sono i due obiettivi principali: arrivare a chi ancora non crede al pericolo di infettarsi e conduce una inconsapevole gara con la morte; creare una cultura che permetta ai sieropositivi di vivere come tutti gli altri, che non siano indotti a tenere nascosta questa parte importante di loro. Non dimentichiamo che anche la sieropositivita' e' un'esperienza, negativa ma notevole, e che può diventare, come altre esperienze, un'occasione di maturazione e crescita, di una maggiore consapevolezza di essere. E questo può essere un aiuto e un arricchimento, una spinta a migliorare, anche per chi sta vicino. Una comunità gay più matura e consapevole è l'eredità che possiamo lasciare ai nostri "figli".
Un'ultima nota: è davvero triste il primo dicembre di ogni anno vedere stese in piazza coperte che dovrebbero ricordarci chi non c'è piu' e che invece recano solo nomi propri di persona, senza altri riferimenti e per questo anonimi, negando la visibilità anche in un gesto che dovrebbe far ricordare, come esistesse una vergogna da nascondere. Ed invece un ammirato ringraziamento a Gianni per aver riunito nel loro locale, il Company di Milano, tutti gli amici in una serata per ricordare la recente scomparsa del suo compagno Lorenzo Pinto, uno dei casi in cui le nuove terapie nulla possono contro le infezioni opportunistiche, serata che ha fatto vivere a tutti noi il clima di visibilità e la calda partecipazione che vivono i sieropositivi a Londra, New York o San Francisco.