Siamo dappertutto, arrendetevi!
di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", agosto 2007)
Questa scritta era su un cartello al collo di un partecipante al gay pride di Roma di quest'anno. Noi siamo ovunque, ma non sempre abbiamo gli stessi diritti
Agosto. Sarete sdraiati sotto il sole sulla spiaggia di qualche località marina. Forse all'estero, forse in un posto dove due omosessuali possono unirsi civilmente, o addirittura sposarsi. Non è stato un regalo, è stato il risultato di una lotta iniziata molto tempo fa, quando ancora qui ci si vergognava anche solo di farlo sapere in giro che si era omosessuali. Quando qui si mandavano avanti i quattro militanti ormai sputtanati a mostrarsi in piazza e gli altri si accontentavano dei cespugli di notte. In quei tempi là altrove si combatteva contro i moralisti, contro le disparità di trattamento. E si scendeva in piazza senza vergogna.
Qui ora vorremmo uno straccio di legge che ci desse un po' di diritti. Ci appelliamo al fatto che nel resto d'Europa, nei paesi civili, queste leggi ci sono, e le vorremmo anche noi ma facendo poca fatica, il minimo necessario. I nostri politici non si vergognano affatto di non aver recepito le direttive della Comunità Europea per la repressione dell'omofobia. Non si vergogneranno certamente se resteranno gli unici a boicottare le unioni omosessuali. Vedrete che dovremo anche noi scendere tutti in piazza, ben più numerosi e coraggiosi di quanto non sia stato finora fatto in Italia. Altrimenti anziché una legge ci faranno solo l'ennesima pernacchia.
Ho seguito il gay pride di Roma da internet, sdraiato sul mio letto. Avrei voluto vederlo alla televisione ma non ho il satellite, e l'unica emittente che ne abbia dato notizia, e immagini, è stata Rai News 24. Dicevo che ero sdraiato a letto, sono ancora sdraiato a letto, per via della salute, e digitare sulla tastiera e maneggiare il mouse in questa posizione è difficilissimo, e faticosissimo, ma ugualmente ho cercato prima, durante e dopo, tutte le notizie su tutti i gay pride. Per sentirmi vicino agli altri, anche se non sarei stato contato per le cronache dei numeri (e sappiamo che guerra di numeri c'è sempre dove c'è bisogno di essere un po' rispettati).
Sarà perché, per la vicenda dei Dico, tutti i rappresentanti gay in parlamento hanno preso le distanze dai DS, sarà che la destra ha capito che parlarne, anche se male, significa pur sempre dare importanza, così come è stato in televisione è stato anche sui giornali e in internet: silenzio stampa. Con rare eccezioni.
Su La Repubblica il 16 giugno è apparso uno scritto di Michele Serra col titolo "La bandiera della laicità" e averlo letto mi ha fatto sentire meno solo. Se non vi è capitato in mano potete ancora leggerlo in rete, o sul sito repubblica.it, o in uno dei tanti blog in cui è stato riportato (su Google, digitando "La bandiera della laicità" appaiono 17.800 pagine che riportano l'articolo).
Vi sentirete anche voi meno soli, e saprete che il caldo e la fatica sofferti per partecipare ad un gay pride non sono stati un sacrificio inutile ma che qualcuno, anche fra gli eterosessuali, ne ha capito il senso e lo condivide. E che al limite lo ha capito anche meglio di me, di noi.
Mi è parso illuminante dove, parlando delle motivazioni politiche della manifestazione, dice: "Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa, che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L'intero assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti."
In poche righe ha centrato qual'è il problema dell'approvazione dei Dico, qual'è la visione distorta della democrazia in Italia, dove si vorrebbe che diventasse una dittatura della maggioranza. E che alcuni, che si sentono normali e che vorrebbero tutti uguali a loro per legge, quando sono a corto di argomenti sono disposti a falsità più acrobatiche di un doppio salto mortale, come quando dicono che se si approvassero i Dico, poi si dovrebbe approvare anche l'incesto e la pedofilia.
Quando, questi omofobi, si accorgeranno che la loro etica è tanto simile a quella dei talebani?
Poi, verso la fine dell'articolo, dice: "Ci andrei perché dover sopportare gli eccessi identitari, il surplus folkloristico e le volgarità imbarazzanti di alcuni dei manifestanti è un ben piccolo prezzo di fronte a quello che le stesse persone hanno dovuto pagare alla discriminazione e al silenzio."
Che bello che qualcuno abbia scritto questo! Per ricordare anche ai giornalisti che ogni transessuale pieno di piume che hanno sbattuto sui loro giornali è probabilmente una vittima della prostituzione, che il ragazzo seminudo in mutandine dorate forse è stato sbattuto fuori casa dai genitori quando hanno scoperto che era gay, o è stato licenziato dal posto di lavoro, oppure l'hanno insultato i vicini di casa, o a suo tempo i compagni di scuola.
Anch'io, anche noi, gay normali, senza eccessi, che abbiamo a volte sognato un gay pride di gente serissima per mettere a tacere chi ci accusava di esser buoni solo per fare carnevalate, abbiamo qualcosa da imparare da Michele Serra.
Già quest'anno, alla parata di Milano, ho notato dei cartelli, portati da alcuni transessuali, che dicevano pressappoco "devo prostituirmi perché nessuno mi dà un lavoro". Ho sempre saputo che la maggior parte delle persone che si prostituisce lo fa per necessità e non per piacere, e sottolinearlo al gay pride mi è sembrato un giusto schiaffo alla leggerezza con cui di solito anche noi giudichiamo la loro partecipazione.
E poi quei giorni dei pride sono stati anche giorni tristi perché è morto un amico, un amico di tutti, Gianni Delle Foglie. Pensavo avesse una particolare predilezione per me, per via della complicità di certi nostri discorsi, del fatto che appena arrivavo in libreria mi copriva di complimenti e mi offriva un caffè, perché mi regalava sempre un po' di preservativi, o una maglietta di qualche campagna di prevenzione, o perché mi esortava a pubblicare i miei scritti. Ma ho scoperto in questi giorni che chiunque parla di lui racconta di un amico particolare, di discorsi complici, di spinte a pubblicare lavori... Ho capito che è stato veramente amico di tutti.
Immagino il vuoto che ha lasciato nella vita di Ivan.
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