Quando l’amore vince sulla paura.

di Pigi Mazzoli
pigi.mazzoli@libero.it
(pubblicato in "Pride", agosto 2005)

Ci sono due situazioni terribili che nessuno vorrebbe vivere mai, soprattutto perché accadono dentro ad una cosa che si vorrebbe perfetta come è l’amore: scoprire di essere stati a letto con una persona sieropositiva, per chi è sieronegativo, o dover confessare di essere sieropositivo, dopo essere stati a letto con uno che sa di essere sieronegativo.

Questo è un argomento che ho affrontato più volte, dal mio punto di vista, quello di una persona sieropositiva che si deve rapportare con un mondo di sani, veri o supposti che siano. E per spiegare anche quello che vive, che sente, che teme l’altra parte mi aiuto con gli scritti che mi arrivano.
A maggio ho pubblicato il carteggio che ho avuto con un lettore. Il suo amante gli aveva confessato soltanto dopo cinque giorni (di sesso non protetto) di essere sieropositivo. Il lettore era dell’opinione che si dovesse sempre e comunque dire del proprio stato di salute. Io rispondevo che va sempre e comunque fatto sesso sicuro, positivi o negativi che si sia, e che no, nulla obbliga una persona a rivelare il proprio stato sierologico. E che quindi il suo nuovo amante aveva compiuto un atto gravissimo: pur sapendo di essere sieropositivo non aveva fatto con lui sesso sicuro.

Da quella lettera, fatta di tensioni d’amore, di rabbia, di paura, sono scaturiti tanti altri messaggi dai lettori. Che si riconoscevano nell’una o nell’altra parte della storia.
Una lettera era completamente diversa. Una racconto di vita scritto e inviato proprio perché gli altri lettori sappiano che può andare diversamente, non per eroismo, non per pazzia, ma per simpatia, per partecipazione alle cose dell’altro, scoprendo quante cose infinitamente belle ha da dare a noi ma anche quanto di terribile deve portare sempre con sé.
Come al solito rispetto l’anonimato che mi è stato chiesto, perché chi è sieropositivo ha il diritto di renderlo pubblico come e quando vuole lui.
Ecco quanto ho ricevuto:

"L'anno scorso, sono fuori città per qualche giorno e una sera vado, un po' contro voglia, un po' per abitudine, in un "localaccio" la cui definizione esterofila ma corretta potrebbe essere "cruising bar". Mentre chiacchiero e mi guardo attorno, incontro uno sguardo sfuggente e timido in cui istantaneamente mi perdo e penso che mi piace a tal punto che vorrei perdermi in lui per sempre.
Di lì a poco, contro ogni mia previsione, ci seguiamo in dark e facciamo sesso orale, del bellissimo sesso orale. Solo perché poco tempo prima avevo sentito di un cortometraggio in cui si ascoltano i pensieri dei due protagonisti, che si conoscono in dark ma non si rivolgono la parola perché hanno pudore più del loro reciproco interesse che di quello che hanno consumato, trovo il coraggio di chiedergli qualcosa, andiamo al bar assieme, ci conosciamo. Da quella sera e per i giorni residui della mia permanenza in città trascorriamo assieme tutto il tempo possibile.
Dopo qualche tempo, quando ci rivediamo per la prima volta, capisco che vuole dirmi qualcosa e lo incoraggio a farlo, francamente temendo che fosse quello che avevo intuito da qualche suo accenno precedente. Quasi tremando e terribilmente spaventato (lo posso capire!) mi dice di essere sieropositivo. Non trovo altro da fare che abbracciarlo. Ne parliamo. Ammetto anche con lui che è una botta, ma la cosa non cambia nulla per me. Mi sembra sollevato. A modo mio lo sono anch'io.
Più tardi siamo con degli amici e lui accidentalmente si taglia un dito. Sento il sangue gelarmi e mentre si lecca il dito, andiamo in bagno: guanti, disinfettante, cerotto; il suo sangue smette di uscire e il mio torna a liquefarsi e fluire. Se quella volta ce l'avevamo fatta, tutto sarebbe andato liscio in futuro.
Poco dopo aver lasciato gli amici, anche noi due dobbiamo separaci. Io rimango solo, felice che lui esista. Però realizzo cosa mi aveva detto nella mattina e mi sembra un ostacolo insormontabile, forse perché sono rimasto fisicamente solo. Panico!
Nei giorni successivi, grazie ad alcuni miei preziosi e fedeli amici e al personale del centro dove di solito faccio il test per l'HIV, affronto e cerco di superare la paura. In particolare mi rimangono impresse le parole di uno dei medici del centro che, dopo avermi chiesto da quanto tempo ci conoscessimo, mi dice che dovevo apprezzare che lui, dopo così poco, me l'avesse già detto: era segno di onestà e di fiducia. So che in quel momento mi sono innamorato di lui ancora un po' di più.
La nostra storia è andata avanti alcuni mesi, pur con qualche difficoltà, fra cui la nostra sierodiscordanza non occupava che uno degli ultimi posti. Quando è finita non è stato di certo perché lui è sieropositivo.

È passato qualche mese da quella storia. Di recente incontro un altro ragazzo. Sera, locale, sguardi e rituali come tante altre volte. Ma con lui scatta qualcosa, abbastanza per lo meno per giungere allo scambio dei numeri di telefono.
Di lì a pochi giorni ci rivediamo: chiacchiere, musica, cena, effusioni, null'altro. Sono felicissimo che entrambi non abbiamo nessuna fretta. La volta successiva, mentre discutiamo dei massimi e dei minimi sistemi, rivedo quello sguardo incerto ma deciso: mi dice di essere sieropositivo. Onestamente penso: "che sfiga!" ma anche che non poteva cambiare nulla. Parliamo un po' di questo. Ci raccontiamo le nostre esperienze. Poi, fortunatamente, abbiamo voglia e bisogno di raccontarci anche altro.
Con lui continuiamo a vederci e da quella sera a oggi abbiamo anche fatto sesso. Non so se diventerà mai una storia ma credo che qui non interessi.

Adesso capirai perché, leggendo il tuo articolo non ho potuto non pensare alla mia esperienza, così diversa da quella dell'altro lettore. Le ultime due persone che ho incontrato e che per me sono diventate importanti sono sieropositive. Ma entrambe hanno avuto l'enorme coraggio di dirmelo. Forse sono una persona che ispira fiducia e questo può averli incoraggiati ma ti assicuro che non sono né migliore né peggiore di tanti altri. Di sicuro loro, ai miei occhi, sono molto coraggiosi e onesti ed è questo che invece rassicura me. Non è tutto rose e fiori (è inutile che lo dica a te!) ma penso che se devo avere una storia con una persona, debba essere uno che vale e che stimo e in entrambi i casi i presupposti sono stati buoni, anche per il loro gesto coraggioso che mi ha fatto sentire profondamente rispettato."

Finalmente un lieto fine. Anzi, meglio dire un lieto inizio. Faccio i miei auguri al lettore per il suo rapporto d’amore, d’affetto, di sesso, o di quello che verrà.

E faccio ai miei lettori sieronegativi l’augurio di non fuggire da una bella storia, spaventati dal virus dell’altro.

Voi sapete, perché più di una volta ne ho parlato, che sono collegato alla rete internet. Non mi stanco ancora, resisto davanti al cinescopio finché la vista non si appanna. Ho iniziato a trovare pagine di persone di tutto, o quasi, il mondo che, con le nuove fotocamere digitali a prezzi sempre più accessibili riempiono pagine e pagine di fotografie di luoghi a me sconosciuti, e di storie illuminanti. Sono diventato così un turista virtuale. Ora voi state interpretando che non sono un vero turista. Invece no. Virtuale significa che ha la forza, che è vero, anche se non presente (pensate che deriva dal latino vir, cioé uomo, da cui virtus, forza. L’ho imparato di notte in televisione con un corso di informatica). La rete è davvero piena di persone che raccontano la loro vita, i loro problemi, le loro felicità. Così ho conosciuto un gay di un paese asiatico che spiegava per filo e per segno come riuscire a fare nel suo paese il test per l’HIV rimanendo anonimi. Perché nel suo paese, al contrario del nostro, chi risulta sieropositivo viene schedato, e se non si presenta al servizio sanitario pubblico regolarmente arriva la polizia a casa o sul luogo di lavoro a prelevarlo per accompagnarlo al dispensario. Sempre che riesca a conservare l’impiego, perché il datore di lavoro ha il diritto di sapere della salute dei dipendenti e ha pure il diritto di scegliere chi conviene assumere. Tutto questo porta i sieropositivi di quel paese a non fare il test, per cui questo li porta a non sapere, neppure loro stessi, del proprio stato di salute, e quindi a rendere più facile la strada all’epidemia (perché prima di fare il test siamo tutti certi di essere sani, pure contemporaneamente terrorizzati all’idea che non sia vero, ma allontaniamo comunque il dubbio durante il lungo periodo fra un test e l’altro).
Spero che mi abbiano seguìto, e compreso, quanti di voi hanno il sospetto che sarebbe meglio non tutelare la segretezza della sieropositività di colui che state incontrando in una darkroom.
Se ci fosse l’obbligo, anche solo morale, di rendere noto a tutti, o anche solo ai propri amanti, della propria sieropositività, allora molti non farebbero mai il test, per non dover mentire mai.
Dobbiamo ringraziare le leggi italiane che permettono a voi di non dover dire al vostro capufficio che vi siete presi la sifilide, di non far sapere al farmacista del vostro paese che vi siete presi lo scolo, o alla vostra mamma che avete i condilomi al culo. E contemporaneamente, la stessa legge, dà a quello che incontrate in darkroom, la possibilità di non far sapere in giro di essere sieropositivo. Sta eventualmente a voi riuscire a dargli quella sicurezza che gli permetterà di essere sincero, sta a voi conquistare la sua confidenza, la sua amicizia. Nel caso che vi venga confessato, non buttate questo prezioso dono che vi viene fatto. Non contate i giorni che sono serviti a giungere alla confessione, un dono lo si accetta quando arriva, non lo si richiede mai.

E poi forse vi siete dimenticati del “periodo finestra” che rende arduo essere certi della propria sieronegatività. Quando ritirate l’esito del test e leggete “negativo” significa solo che un paio di mesi prima voi eravate negativi, ma che se nel frattempo avete corso qualche rischio, beh, quel pezzo di carta è davvero solo un pezzo di carta. E fare e rifare il test troppo spesso serve solo a mettere sotto stress la vostra mente. Anche se scoprite di essere diventati positivi non potete fare altro che usare sempre il preservativo, non c’è una cura che fatta subito vi faccia tornare indietro nel tempo. Per un certo periodo si era pensato che iniziando la cura poco dopo l’infezione (ad esempio dopo un paio di mesi) riuscisse a non far proliferare il virus a spese del sistema immunitario. Ma si è visto, dopo qualche anno di questa pratica, che la cura precoce non solo non apporta una differenza nell’evoluzione della malattia, ma addirittura la tossicità dei farmaci sul corpo in generale e le trasformazioni del virus per resistere alle medicine, peggiorano la possibilità di cura rispetto a chi la inizia solo al momento giusto, cioé quando le difese immunitarie iniziano a diminuire rapidamente e il virus nel sangue cresce troppo. Per cui si devono, nel caso sfortunato, fare esami accurati ogni sei mesi, un anno (sarà il centro specializzato che vi seguirà a stabilire le date giuste per voi), e iniziare a curarsi nel momento che riterranno il migliore per voi. Nel frattempo potete assolutamente far credere a tutti di essere sieronegativo, a meno che qualcuno non vi incontri nell’ambulatorio e faccia la spia nel vostro bar preferito per pura cattiveria. Oppure, quando andate in darkroom, potete mettervi nei panni dell’altro (che poi erano effettivamente i vostri prima di ritirare il nefasto esito), e sapendo quanto ci tiene di essere avvisato prima che sta scopando con un sieropositivo, avvicinate le vostre labbra al suo orecchio e spifferate tutto. Poi vi voltate ad osservare la sua nuca che si allontana zigzagando di corsa verso l’uscita. Che è forse quello che avete fatto anche voi qualche volta, quando non eravate ancora dall’altra parte della linea di confine.
Ora quel confine è fatto di filo spinato e non potete strapparlo con le mani nude. Finché siete ancora dall’altra parte, dove stanno quelli che il filo spinato lo stendono, pensateci, se è veramente il caso di fare del male a chi già soffre per quello che gli è successo, o se è il caso di tendere una mano per rendere meno doloroso quel confine a chi sta dall’altra parte.

E non fidatevi mai di esami altrui esibiti casualmente sul mobile d’ingresso o estratti distrattamente dal portafoglio, certo sono rassicuranti, ma potrebbero anche essere falsi. Sapete che se non fate sesso sicuro i vi appellerò coglioni, ma se vi infettate per aver creduto ad un rassicurante test sbirciato, sarete voi a dirvi da soli doppiamente coglioni.
So che ci tenete alla vostra salute, ma non è inducendo alla confessione chi sta inginocchiato davanti a voi (si è inginocchiato per un altro motivo) che riuscirete a restare sani. Neppure raccogliendo gli indizi lasciati dalla malattia sul corpo che vi sta di fronte. Neppure cercando di indagare fra i conoscenti comuni o inducendo alla delazione gli ex amanti. C’è un solo modo di essere veramente sicuri sempre, e voi sapete benissimo qual’è.
Sta a voi aprire al momento giusto la bustina del preservativo. Comunque e sempre.