Ad un certo punto.
di Pigi Mazzoli
(pubblicato in "Pride", marzo 2004)


Tra le persone che mi scrivono, molte mi chiedono informazioni sulle malattie veneree, a volte sperando in una improbabile diagnosi via posta, ma soprattutto consigli su come e dove curarsi, su come evitare di contagiarsi o contagiare, a volte chiedendomi perché sia successo che si siano ritrovati con un test positivo. Significa che dobbiamo continuare a scrivere di malattie a trasmissione sessuale.

Una piccola parte di lettere, invece, sono solo piccoli racconti di vita. Squarci su esistenze da poco sconvolte dalla scoperta di un test positivo all'HIV, come tempeste che distruggono tutto, annunciate da un lampo apparso in una giornata serena e promettente. Oppure racconti meticolosi di esistenze trascinate, intrecciate, logorate dalla presenza del virus che, dove non distrugge, scombina la trama che avremmo voluto per la nostra vita.
Sono contento di ricevere queste parole che non chiedono tanto una risposta quanto di essere ascoltate. Ci sono momenti in cui si deve dire ciò che si prova dentro, a qualcuno che si pensa che possa capire perché sta vivendo con l'identico problema una vita probabilmente simile. Non richiedono una risposta, sono solo parole che vogliono essere ascoltate e non fraintese. Ed infatti le mie risposte sarebbero brevi per chi le osservasse da "fuori", ma fra "noi" significa che ci capiamo, o almeno questa è la mia intenzione.
A volte sono parole bellissime, a volte sono illuminanti per me, per i miei problemi. Non chiedono risposte e non chiedono pubblicità, ma leggete con me un piccolo brano rubato ad una di queste:
"...ad un certo punto era chiaro che mi ero stancato di vivere. Non in quel momento preciso, e forse non ancora. Ma facendo un bilancio su quanta fatica stavo facendo e quanta ne dovevo ancora fare, e quanta forza mi era rimasta ... ma soprattutto che avrei dovuto abbandonare tutto quello che mi aveva fatto sopportare le difficoltà quotidiane, le normali angherie del lavoro, i desideri che a volte sai di non realizzare. Perché fino ad un certo punto, fino a quel punto il desiderio degli uomini mi faceva sentire un leone pronto a sbranare la vita, ora sono l'erbivoro della savana tormentato dagli insetti e dalla sete che sa che c'è la bestia in agguato che ti farà fuori straziandoti la carne. Allora ho deciso che non ne valeva la pena. Ma siccome io sono un tipo ordinato e detesto che la gente metta le mani fra le mie cose, ho iniziato a liberarmi di tutto preventivamente, che nessuno mettese il naso dopo. Ho iniziato a buttare le cose che solo a me potevano servire e solo per me potevano avere significato come le agende e i diari ed anche le fotografie di tutta una vita. Ho iniziato a regalare libri e dischi scegliendo con cura la relazione fra il genere e il destinatario. Stessa sorte gli oggetti raccolti a suo tempo con cura e ora imballati e riciclati come regali. Alcuni mobili che man mano andavano svuotandosi han seguito la stessa sorte e hanno lasciato casa mia.
Ma a quel punto la casa più vuota era meno ossessiva. Aveva smesso di parlarmi della mia vita. Quale vita? Non quella di adesso. La mia casa in tutti questi anni, quelli dopo che era cambiata, aveva urlato quello che desideravo essere e avere, e non potevo più, non avrei potuto mai più. Adesso, vuota, semidistrutta, silenziosa mi lasciava sentire altri suoni. Allora ho deciso di continuare, se non per gli uomini per me. Non avrei mai pensato di esserne capace, di poter cambiare tanto, poi non credevo proprio ci fosse qualcosa oltre agli uomini nella vita..."

Ho rubato queste parole, ma potrebbero essere state altre, brani che mentre si incidono nella memoria del mio computer scavano solchi nella mia di memoria, come aratri che rivoltano le zolle e mostrano la terra pronta a ricevere semi là dove prima appariva un campo senza vita. Sono parole, le mie e le loro, a volte di poesia un poco ingenua. Ma cerchiamo di faci capire e non è facile, pensiamo che le parole, tutte, che abbiamo usato per descrivere le emozioni di prima, tutte, ora non bastino e ne servano altre che non ci sono. Allora le mescoliamo ché sembrino diverse. Rimescolate come la nostra vita di ora, ora ci assomigliano.

Ho rubato queste parole per farvi sapere che cosa un amico sieropositivo non vi dice, non dice a voi come a nessun altro che non sia sieropositivo. Per vergogna, forse, o per rispetto a chi sta lavorando per costruire. Perché dopo quel punto capisci che è successo l'irreparabile, e le parole "ora esistono medicine che funzionano" e "perché dovrebbbe capitare a me che sono sempre stato fortunato" risuonano come ossessivo e stupido ronzio nella testa. Come è successo? Ma è veramente successo? Cosa faccio ora? Nuovi pensieri ossessivi che scacciano tutto il resto.
E attorno una scorza di normalità, nell'attesa di capire chi si è ora. Prima di mostrarsi dentro si deve capire cosa è rimasto dentro.

Ho rubato queste parole perché ho avuto per giorni il desiderio di rispondere con tutto me stesso, ma non sapevo come. Che anch'io avevo vissuto le stesse fasi, e come me forse tutti noi, ma che poi passano? Che ero vicino e lo capivo? Ma se mi ha scritto già prima di me lui sapeva che gli ero vicino, paradossalmente più vicino io, che non ci siamo mai incontrati, di tutti gli altri che gli sono attorno da una vita. Questo infatti gli ho risposto brevemente, come una ricevuta di ritorno, che lo capivo e che gli sono vicino. Solo per fargli sapere che le sue parole, e le tonnellate di piombo grigio che portavano con sé, errano arrivate a destinazione. Non gli ho chiesto neppure in che città vivesse, non aveva importanza il dove avvenisse tutto questo ma solo che avvenisse.

Mi sono pentito, l'errore è dovuto al fatto che la posta elettronica è tanto veloce che non ti lascia il tempo della riflessione: leggi, clicchi e rispondi. Avessi dovuto prendere carta e penna in mano, e il tempo di arrivare alla cassetta postale, forse avrei pensato di più, o forse avrei proprio pensato e non avrei risposto di getto con le sole emozioni.

Quello che non ti ho detto allora te lo dico adesso.
Non è vero che ti sono vicino, forse siamo lontanissimi anche fisicamente, anche nei desideri, nei gusti, negli ideali. Stiamo solo vivendo la stessa cosa e fra noi è facile credere che anche tutto il resto sia uguale.
Sono le persone che ti stanno attorno che possono esserti veramente vicine. Sta solo a te lasciare che possano capirti. Anch'io ho avuto il pudore di non raccontare la pazzia che si arrotolava nel mio cervello per la delicatezza di non sconvolgere vite altrui, vite di persone che amavo. Ma se inizierai a parlare con loro vedrai che capiranno. E se non dovessero capirti sùbito, o ti sembrasse che non possono capire, allora vuol dire che non ti sei spiegato. Parla, parla, parla. Sono tanto più forti di noi che loro possono sopportare i nostri esperimenti di comunicazione senza esserne sconvolti troppo. Non avere rispetto per il loro equilibrio. Se non ci si capisce si rischia di vivere vicini ma senza sincerità. Si rischia di simulare una vita che non c'è. Non è così che si rispettano gli altri, nascondendo e simulando. Il mio professore all'università, quando scrivendo o preparando una lezione cercavo di rendere più semplici i concetti, si arrabbiava e mi diceva che così davo dello stupido agli altri. Non dare dello stupido ai tuoi amici, al tuo amico, ai tuoi familiari, non credere di essere l'unico a poter capire. Loro possono capire attraverso di te. Dovrete, dovremo, parlare molto, ci saranno errori ed incomprensioni, ricominceremo quasi dal principio. Si può fare, ne vale la pena.
La vita non finisce in quel punto, cambia. Un giorno ti accorgerai, io me ne sono accorto, che la tua vita attraverso gli altri diventa quella vera.
Se qualche volta ti sembrerà che loro non vogliano veramente condividere tutto con te, starai sbagliando. Se non volessero farlo sarebbero scappati lontano al primo accenno, considera che anche loro, come te, come me, sono alla ricerca di un linguaggio che dica queste cose nuove. Si sentiranno forse incapaci, avranno paura di farti male, avranno il pudore di sperimentare su di te queste cose di cui non avevano ancora ragionato. Sarai tu, colui che appare a loro come quello debole da tutelare, a dare il permesso, anzi a spronare, ogni loro esperimento per capirti e per farsi capire. Per amarti e per farsi amare. E se sono scappati aspetta a darli per dispersi, forse si sono solo allontanati per paura di farti male, cercali e riannoda i legami.
Vorrei anche dirti che se questo ti sembra difficile, faticoso, non sei che all'inizio. Più avanti ti aspettano altre fatiche, la tua, la nostra vita è diventata un poco più in salita da quel momento.

Ma riuscirai dal danno a ricavare anche un guadagno, la tua nuova vità potrebbe diventare più complessa, più piena, più conscia. Ecco cosa puoi regalare, a chi ti sta vicino, una parte di quella complessità, di quell'arricchimento senza che ne debbano subire il danno fisico. Vivere i problemi aiuta ad vivere più intensamente la vita, anche se i problemi non sono i propri ma di chi ci sta accanto.
Sai che io a volte cerco di scherzarci sopra, è il mio modo di alleggerire i colori cupi che si intravedono a volte nelle pieghe della vita. Sai cosa dico ai miei amici? Siatemi grati, vi faccio fare volontariato al vostro domicilio.
Un'ultima cosa, io mi sto ricomprando a poco a poco i libri e i dischi che avevo regalato. Sì, forse un po' vicini noi lo siamo veramente.