A nudo
Ancora sulle darkroom
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", 2002
Al buio e in piedi, che senso ha?
Mentre raccoglievo informazioni sui centri MTS, a colloquio con un medico, tra un dato e l'altro, mi sono sentito dire: "...i casi di sifilide si sono triplicati fra i frequentatori di dark...". Aih, un altro attacco alle darkroom? Ancora parlare di categorie a rischio? No, no, mi ha subito tranquillizzato, "è un dato statistico, sta a dimostrare che fra la popolazione omosessuale che frequenta le dark non si fa molto sesso sicuro." E cerca di farmi capire che inspiegabilmente proprio chi ha un numero maggiore di rapporti e quindi una maggiore probabilità di infettarsi è proprio colui che meno fa prevenzione. Mi sono dichiarato concorde, anche perché quello che mi stava dicendo era la stessa impressione che avevano rilevato alcuni amici: "la gente non fa sesso sicuro", senza distinguere se il fatto si svolgesse in una dark o nella loro camera da letto, seppur molto frequentata.
Su queste stesse pagine ebbi a dire tempo fa che io, pur non frequentando le dark, le ritenevo non solo necessarie ma anche per molti versi piacevoli. Ma che avrei desiderato avere più luce, se non altro per indossare con comodità il preservativo, e con dei bagni comodi, o almeno dei lavandini, dove potermi lavare dopo. Dicevo che quell'atmosfera di promiscuità poteva assomigliare molto ai racconti di Genet (forse non lo dissi ma lo dico ora). Ma che le poche visitate non erano riuscite a trasmettermi quelle sperate emozioni. Orbene, un sabato sono andato ad un incontro del gruppo orsi Magnum nella discoteca Binario 1. Grande successo della serata, grande folla, grande musica (anche come volume sonoro), ad un certo punto grande caldo... Con un amico ci siamo rifugiati nella dark del locale, che è grande come il locale stesso, ma molto, molto più fresca e ovattata, ricavata nel sotterraneo. Luci rosse soffuse illuminano a sprazzi lo spazio labirintico, erano vecchi spogliatoi di un laboratorio, ancora le tracce nei tanti stanzini con la turca e in due grandi, affascinanti, lavadini tondi dai molti rubinetti centrali, come delle fontane da hammam. Alcune separazioni fatte di rete sottile. Negli angoli più bui alcune coppie appartate, credo solo a baciarsi. Gente che si sposta silenziosa, come in cerca di qualcosa che non c'è ancora, sfiorandosi coi corpi vestiti e con gli sguardi. Qualche gruppo di amici che parlano fra di loro. Dietro un angolo ho intravisto un corpo nudo, occultato dai molti fermi ad osservare gli atti che presumibilmente si svolgevano. Ecco il mio Genet, quello che avevo immaginato nella mia mente. L'avevo trovato inaspettatamente cercando refrigerio e calma. Garantisco che se fossi stato con la mia mamma non si sarebbe scandalizzata più di tanto, anche perché al buio vede poco e tutto aveva un'aria così più di veglia natalizia che di inferno. Ma forse questa, o forse solo per quella sera, è una dark atipica, non vi ho trovato le masse di omosessuali promiscui che fanno sesso senza protezioni di cui tanto mi hanno parlato.
Una ricerca serissima, precisissima, svolta negli USA negli anni '70 sui frequentatori di pubblici gabinetti in cerca di sesso scoprì sconvolgenti elementi in comune fra queste persone: erano bianche, cattoliche, quarantenni, sposate e con prole.
Ora, se anziché parlare sulle dark e sui loro frequentatori con luoghi comuni o con idee preconcette, svolgessimo una seria indagine sociologica e statistica magari potremmo scoprire che l'enunciato "frequentatori di dark uguale a persone che non fanno sesso sicuro" potrebbe non essere vera, bensì essere "le persone che non fanno sesso sicuro vanno spesso in dark".
Non è una differenza da poco. In primo luogo, se si chiudessero le dark le persone che non fanno sesso sicuro andrebbero solo altrove e non per questo cambierebbero le loro abitudini. Secondo, se passasse l'idea che è nelle dark, e solo nelle dark, che ci si infetta con l'hiv, le persone si sentirebbero tranquille di non fare sesso sicuro purché altrove per essere protetti dal rischio. Sembrano discorsi demenziali? A me sembrano invece demenziali quelle affermazioni che indicano in luoghi, frequentazioni e preferenze un indice di maggiore o minore rischio. Quando invece, molto più semplicemente, banalmente, lapalissianamente il rischio si corre se ci si protegge facendo o non facendo sesso sicuro.
Parlando con un amico esso si mostrava dubbioso sull'efficacia del sesso sicuro. "Pare che anche i miei amici Caio e Sempronio, che si sono infettati da poco, abbiano fatto sempre sesso sicuro, me l'hanno assicurato. Quindi vedi che non si è sicuri neppure così? È un rischio da correre, se deve capitarti ti càpita...". Divenni furibondo. Come può un laureato, uno che ha studiato, fidarsi di più della sincerità di un amico, soprattutto che si sente colpevole per essersi infettato, piuttosto dei dati statistici della scienza? Lo esortai ad avere un dialogo più intimo con questi amici, in primo perché suppongo che una persona che si è appena infettata ha molto bisogno di amicizia e comprensione, anche solo di uno sfogo, in secondo perché ero certo che, passato il senso di colpa per gli atti che portarono all'infezione, essi avrebbero confessato che sì, qualche volta non furono attenti, vuoi per un incidente tecnico, vuoi sull'onda di un'emozione incontrollabile, vuoi per la leggerezza nel fare certe cose quando fino ad ora ci è sempre andata bene.
Ricordo di un amico, ormai mancato da tempo, che per spiegare la sua infezione, ma io non gli avevo chiesto nulla, mi raccontò di un preservativo rotto durante una festa di leather in Germania. Magari era vero, ma mi puzzava di giustificazione. Io stesso, i primi anni, amavo pensare di essermi infettato facendo all'amore con Luca, che amavo tanto, che era tanto dolce. Questa certezza rendeva più sopportabile la "colpa". Ma questa poteva sembrarmi una certezza solo se rimuovevo, cancellavo dalla mia memoria, di essere stato tutte le sere di un'estate dentro ai cespugli di piazza Leonardo a scopare con chiunque avesse baffi o barba, i miei feticci di allora. Di aver centellinato i miei orgasmi sera per sera per poter conservare il desiderio fino all'ultima delle prede che avevo puntato ogni sera. Di tutti i camionisti rimorchiati nei parcheggi, di tutti i sedicenti etrerosessuali che si fermavano all'ortomercato dopo aver accompagnato la fidanzata a casa, per farsi dare una ripassatina da me. Delle saune di Parigi o dei cessi della Stazione Nord. Ora lo ammetto. Allora non potevo, non ce la facevo. Come chi ora dice: "ho fatto sesso sicuro e mi sono infettato, era destino".
Un'altra ricerca, questa recente, molto accurata, fatta a Bologna tra giovani infettati da poco, è arrivata anch'essa ad alcuni elementi in comune tra i soggetti esaminati: non si accettavano come omosessuali, non avevano il suicidio nella loro cultura, usavano la fatalità di infettarsi come lento suicidio, per cui non facevano sesso sicuro. Nessuna informazione sui rischi può giungere a queste persone per spingerle a proteggersi se non passando dalla fonte dei loro problemi: accettarsi come omosessuali. Vedere la propria omosessualità come un fatto positivo, arricchente, socializzante. E Bologna è una città aperta ed emancipata. Che succede nel resto dell'Italia? Se, come raccontai tempo fa, in Sardegna sono scappati davanti alla mia dichiarazione di sieropositività, ed erano persone che non facevano abitualmente sesso sicuro, lo si deve al fatto che ancora là non c'è l'abitudine ad avere amici che si sono infettati, o forse, temo, là gli amici lo nascondono ancora più che qui.
Cosa mi sembra di capire, che idea mi si sta formando dentro? Che dovremmo smetterla di parlare di dark. E forse anche di sesso sicuro quasi che fosse cosa da imporre dall'alto. Forse dovremmo concentrarci e impegnarci per rendere le nostre vite di omosessuali felici, degne di essere vissute, piene di progetti, di speranze, di opportunità. Essere omosessuali deve essere per tutti bello come si dà per scontato lo debba essere per gli eterosessuali, ai quali dedicano trasmissioni televisive sull'innamoramento, matrimoni da favola pieni di parenti gioiosi, poesie d'amore nei libri di scuola. Cose che a noi sono in effetti ancora negate. Ma anche queste sono la vita. A noi solo battute di cattivo gusto sulla nostra presunta effeminatezza. E diritti negati. Finché ci tolgono la vita, che voglia possiamo avere di non morire?
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