Scopare con un sieropositivo
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", maggio 2000


E' stato confermato che la contagiosità, cioè la possibilità di infettarsi durante un rapporto sessuale, è direttamente connessa con l'indice di replicazione virale del portatore del virus. Questa è altissima i primi tempi dopo il contagio, mentre è bassissima nei soggetti in cura con la triterapia. Facciamo il caso di una persona che si è appena infettata e che avendo da poco fatto il test crede di essere sana, vi chiederà di fare sesso non protetto, rassicurandovi col risultato del suo esame: ebbene, tranquillizzati lo fareste con la persona più contagiosa che potreste mai incontrare. Per contro se un sieropositivo in cura vi avvisa del suo stato voi come vi comportate? Riuscite a fare sesso con lui, o vince la paura e la repulsione? Io vi voglio raccontare la mia esperienza, quella di un sieropositivo che avvisa del suo stato.
Un preambolo: un sieropositivo deve avvisare i suoi amanti? La legge italiana non precisa esattamente un confine, ma avere rapporti non protetti senza avvisare è sicuramente un grave reato soprattutto se si infetta una persona (negli USA si condanna anche chi ha rapporti non protetti e nasconde il suo stato anche nel caso non sia avvenuto il contagio). E nel contempo la legge protegge la privacy: garantisce il diritto a tutti di tenere nascosto il proprio stato di salute e non obbliga a fare il test.
Ho scoperto di essere sieropositivo 15 anni orsono. Ero a casa di un ragazzo con cui facevo sesso di tanto in tanto. Un mio amico era andato a ritirare gli esiti e mi telefonò per comunicarmi che ero positivo. Io mi voltai verso di lui e sconvolto glielo dissi senza esitazione, forse anche in cerca di solidarietà. Lui quasi muto mi sospinse fuori dall'appartamento e richiuse la porta dietro di me. Era iniziata la caccia alle streghe. Tutti tacevano il loro stato fino a negare anche di fronte all'evidenza. Nei locali gay i gruppi cercavano di indovinare da leggeri dimagramenti la sieropositività degli altri. Si imbastivano piccoli processi per capire chi avesse infettatto l'altro; si cercava di creare colpevolizzanti alberi genealogici del virus passato da amico ad amico. A quel clima disperato si sovrappose una violenta campagna antigay che ci indicava come colpevoli vittime di una nuova peste. Anche per me diventò difficile dichiarare il mio stato. Cercate di capirmi: incontro un bonazzo stratosferico, uno di quelli che ti fan tremare le gambe, lui mi guarda, io che mi sento solo e disperato, dove trovare il coraggio di dirgli che ho l'AIDS (all'epoca non si sapeva la differenza fra sieropsitività e malattia conclamata) per vederlo girare i tacchi e allontanarsi senza una parola? La soluzione: tacere, fare sesso sicuro, colpevolizzarsi ed in più il terrore di essere scoperto. Ma se poi col bonazzo ci si fidanza? Tu pensi: è l'ultima occasione della mia vita e non posso rischiare di perdere l'unica persona che mi ama. E per coprire la bugia niente esami, niente cure e far finta di cadere dal mondo delle nuvole alla prima polmonite: voi non immaginate quante coppie erano e sono ancora oggi così.
Qualcosa però è cambiato da allora. Man mano che aumentava la conoscenza delle modalità di infezione i rifiuti sono diminuiti. Chi ti aveva appena rimorchiato nel bar non fugge via alla notizia, ti mostra la sua sincera sofferenza per il tuo stato ma imperterrito inizia a negare di averti mai rimorchiato, che devi aver frainteso, che non era mai stata sua intenzione avere dei rapporti con te, che lui addirittura è fidanzato ed è fedelissimo ecc. ecc.
Per fortuna queste reazioni sono sempre meno frequenti, quasi assenti nei "frequentatori locali". L'informazione ha funzionato e ha fatto sparire la paura irrazionale del contagio. Non certo l'informazione dei media, solo terroristica e sessuofobica, ma le informazioni che viene dalla reale vicinanza con la malattia: quasi tutti ormai possono vantare un amico morto, uno in conclamata e uno sieropositivo in buono stato di salute, e te li snocciolano tutti come prova della loro sincerità.
Nei giovani accade ancora spesso che la paura vinca sulla coscienza: spesso fuggono imbarazzatissimi. Mi è successo poco tempo fa. Uno spasimante si mostrò terrorizzato alla notizia del mio hiv+ e l'idea del sesso sicuro non lo tranquillizzava, non gli pareva sicuro nulla di quello che gli spiegavo si poteva fare. Incuriosito, anziché lasciar cadere la cosa, volli cercare di capire a che grado di protezione la paura gli sarebbe passata. Giunsi a proporgli càmice impermeabile, occhiali, mascherina chirurgica, guanti di gomma. Era ancora indeciso, io girai i tacchi e me ne andai. Almeno una volta il gestaccio l'ho fatto io.
Ma la loro fuga davanti ad un sieropositivo è indissolubilmente legata alla loro fuga davanti alla loro vulnerabilità: rimuovendo l'esistenza del virus rimuovono la loro stessa sessualità, non fanno sesso sicuro convinti che loro sono altra cosa e che non si infetteranno come accade agli "altri". Ora sono loro i più esposti al virus, rifiutano il test e infetteranno qualche fidanzato.
Già, perché c'è in giro una strana credenza, forse instillata dalle campagne ministeriali per la prevenzione: che col fidanzato non sia necessario il sesso sicuro. Sapete quanti ne conosco che cambiano fidanzato ogni tre mesi e che quindi si ritengono esentatai dall'uso del preservativo? E di quanti che essendo fidanzati in coppia chiusa fanno sesso non protetto, ma poi tradiscono con altri coi quali, essendo anche loro fidanzati in coppia chiusa e quindi sicuri, non usano il preservativo? Tanti.
E qui vi riporto al punto iniziale: se in questo giro di fidanzati e amanti dovesse entrare il virus troverebbe il campo sgombro per infettarli tutti d'un botto. Eppure possono essere gli stessi che scappano davanti ad un sieropositivo. E' solo ignoranza: è più pericoloso un fidanzato sedicente fedele di un sieropositivo coscienzioso.
Prendo ora in esame il felice gruppo di quelli che non scappano. Rimorchiati, avvisati. Ti comunicano subito la loro non paura, ti dimostrano subito la loro conoscenza del sesso sicuro. Ti mandano in estasi nel farti sentire come tutti gli altri. In che senso? In "certi" momenti non te ne potrebbe fregare di meno della tua speranza di vita (cioè di quanto ti resta da vivere), l'estasi di sentirti desiderato nonostante il virus.
Allora abbiamo risolto il problema? No, c'e' un vizio di base, irrisolvibile. A parte coloro che vivono sempre con una maschera, gli altri cosa desiderano? Essere amati ed apprezzato per quello che si è. Essere amati nonostante quello che si è non è la stessa cosa.
Straziato dall'impossibilità di essere normale, dove per normale intendo essere come prima del contagio, mi ero convinto di dover cercare un fidanzato sieropositivo. Ricerca fruttuosa, ma non sbocciò l'amore. Ho pensato molto al perché, forse non accettavo in lui quelle stesse cose che non accettavo in me: vivere alla giornata, non essere progettuale, insomma avere una scadenza che non ti fa volare con la fantasia. Finché non mi fossi liberato del pessimismo sulla mia sorte non avrei potuto essere felice.
Ma se la salute migliora tutto va meglio: senza i risultati della triterapia non sarei riuscito a vedere in rosa il mio futuro.
Se siete curiosi su come mi sia andata a finire vi racconterò: ho trovato un uomo senza paura che caparbiamente mi pungola a progettare il nostro futuro, e ci sta riuscendo. Certo resta la paura del contagio, ma siamo diventati degli specialisti di sesso sicuro. E stiamo sognando l'età della pensione.

3 aprile 2000