FELIX MENDELSSOHN BARTHOLDY

Tre Capricci, op. 33.

Sovente sembra che quest’artista, che il caso ha dotato fin dal battesimo d’un giusto nome, prenda alcune battute, anzi degli accordi dal suo Sogno d’una notte d’estate per svilupparli e ritoccarli nuovamente in opere staccate, così come press’a poco un pittore riproduce la sua Madonna in ogni sorta di teste d’angelo. In quel Sogno i più cari desideri d’un artista son corsi tutti insieme alla meta; è il risultato della sua esistenza - e quanto sia bello e significativo, noi tutti sappiamo. Due dei citati capricci devono appartenere ad un tempo ormai passato; infatti potrebbero esser scritti anche da altri maestri, ma in quello di mezzo, ch’è di data più recente, sta su ogni pagina come in grandi caratteri: F. M. B.; - questo è il capriccio the amo, amo sopra tutti e vedo in esso un genio furtivamente venuto in terra.
Qui nulla v’è di teso o di sforzato, non apparizioni di spettri, non burle di fate; dappertutto si cammina su solido suolo, un suolo fiorito, tedesco; è un volo estivo di Walt sopra la terra, come in Jean Paul. Sebbene io sia quasi persuaso che nessuno possa suonare questo pezzo con così inimitabile grazia come il compositore stesso, e dia ragione ad Eusebio il quale pen-sa “che (il compositore) con questo potrebbe rendere infedele in pochi momenti la ragazza più innamorata”, credo che nessuno possa sopprimere interamente queste venature così trasparenti, questo colorito ondeggiante, questa delicatissima movenza di tratti. Quanto diversi sono gli altri Capricci e quasi in nessun rapporto con quello di mezzo! Nell’ultimo specialmente si sente come una rabbia muta, trattenuta, che si calma abbastanza verso la fine, ma poi erompe con pieno sfogo. Perché? - Chi lo sa! Alle volte si è cupi, senza saper precisare per quale ragione, e si vorrebbe “con pugno dolcissimo” mandar tutto in frantumi e fuggire dalla terra stessa, se giusto non vi fosse da sopportare ancora di queste cose. Ad altri il capriccio farà un effetto diverso, su di me così: lasciamolo com’è. Invece, saremo d’accordo sul primo: noi proveremo un dolore leggero, che dalla musica, dove s’è gettato, chiede e riceve sollievo. Di più non vogliamo dire. Ed ora il primo sguardo del lettore voli sul fascicolo stesso.