Questo articolo è stato scritto mentre era molto attivo l'effetto psicotropo del Sustiva, un farmaco contro l'HIV che stavo assumendo. N.d.A.


La vita è un film.
E a volte ci innamoriamo di un singolo fotogramma.
di Pigi Mazzoli
Pubblicato su "Pride", gennaio 2001

Esiste un test, che usano gli psicologi, per tirare fuori da una persona quello che inaspettatamente tiene dentro di sé. Si mostra un'immagine con pochi elementi ambigui, una sagoma umana, una luce, una porta, un tavolo... e si invita il soggetto a spiegarne il significato: egli userà se stesso e il suo mondo, inventerà una storia, racconterà parti della sua vita che crede di ascrivere ad altri. Fornendo in questo modo elementi utili al terapeuta.
Noi facciamo spesso queste ingenuità. Crediamo di conoscere la realtà. Usiamo noi stessi come chiave interpretativa della realtà che ci appare. Ascriviamo agli altri i nostri sensi di colpa e le nostre paure, le nostre cattiverie e le nostre meschinità diventando così censori e moralisti che vedono il male ovunque. Impossibile parlare con un moralista di eutanasia o di preservativi o solo di nudità, bisognerebbe rivoltarlo come un calzino per fargli capire che quello che per lui è il male non lo è per gli altri. Non per tutti gli altri.
Ma se dentro non si hanno drammi irrisolti far correre la fantasia può essere un gioco divertente. Ai personaggi di un romanzo ascriviamo parte di noi stessi per quanto l'indeterminazione lasciata dall'autore ce lo permette, e più possibilità ci sono date e più elementi già collimano più noi possiamo identificarci ed entrare nella parte.
Le feste di natale ci hanno lasciato l'ennesimo stampato Ikea dove, dopo una coppia di anziani coniugi che invitano la seconda e terza generazione a pranzo, dopo la giovane e prolifica coppia che ha trasformato la casa in un campo da giochi, viene la coppia di uomini. Fratelli? Io proietto e dico gay. Ricevono amici: uno semicoperto dall'ospite ma pare proprio sia un uomo (anche se quel poco che si vede mi ricorda una mia cara amica lesbica), uno seduto sul divano ma col viso sfocato tanto per fornire una scappatoia interpretativa, uno che si specchia e si aggiusta i capelli con la mano. Al centro troneggia una tavola tutta addobbata da veli, tessuti laminati, cordoni in raso e fiocchi che sta a metà strada tra Versace e D&G, non a caso le uniche coppie gay attualmente visibili nel mondo del consumismo. Non vorrei quella casa, mi vergognerei se si pensasse fosse mia. Non riesco a proiettarmi in nessuno dei personaggi, mi sento diverso.
Diverso, virgolettato, l'ho letto anche nei commenti al suicidio Agnelli, tutti rispettosi, anche se ansiosi di inanellare poi anche aggettivi come dolce, sensibile, fragile...
Lo stesso imbarazzo che hanno sempre nel descrivere certe cose, come le foto di nudo di Wilhelm Von Gloeden, in mostra a Firenze fino al 4 Febbraio. Per lui, comodamente, scomodano Roland Barthes e parlano di ingenuità per presentare foto che , fatte ora, farebbero guadagnare tre anni di carcere, codice alla mano. Non che le abbiano fatte passare tutte lisce ai suoi tempi, e neppure dopo, ma ora quelle immagini sono al sicuro. Fino ai prossimi roghi.
Come le fotografie di James Bidgood, che negli anni sessanta copiavano quegli stessi fauni o quelle coppie maschili dallo sguardo ambiguo e allusivo. Ai miti arcadici egli affiancò anche influenze messicane o pellirosse (se i siciliani stanno ai tedeschi come i messicani stanno agli statunitensi, i loro pellirossa sono i nostri legionari romani?). Negli anni settanta Patrick Sarfati, un fotografo francese da noi sfortunatamente quasi sconosciuto, portò dagli Stati Uniti le foto di Bidgoog a Pierre et Gilles che le appesero nello studio. Ispirati da quelle i due crearono le loro aggiungendo e moltiplicando. Con attorno mille altri fotografi, più o meno professionisti, che nell'arte della fotografia han fatto la loro e l'altrui sublimazione del sesso. Fortunati noi che possiamo vedere tutto senza dover sublimare nulla. Una vero storia parallela dell'Arte. Una volta tanto la globalizzazione fa buon pro: permette ad un editore, Taschen, di vendere libri di nicchia a prezzi abbordabili.
Before night fall. Non ho letto il libro ma mi han detto sia ancor più bello del film. Lo farò sperando di identificarmi meno nella fine e più negli inizi. Oltre alla disperazione mi ha lasciato un senso di inarrivabile grandezza e di poesia. E l'attore che interpreta Arenas mi appare più desiderabile di pellicola in pellicola. Ma la scena del suicidio-eutanasia è stato un colpo basso alla mia rimozione, non del virus, ma alla rimozione che ho fatto di quanto abbiamo sofferto in questi anni.
Sono arrivato a casa stordito, come al solito questo mese. Ho cambiato farmaci. Uno di questi, il Sustiva, per le prime settimane ha effetti psicotropi tanto forti che due miei amici ne hanno sospesa l'assunzione il terzo giorno. Al di là di non poter guidare l'auto, mi sono ritrovato a gestire una quantità di sogni incredibili, bellissimi tutti, a volte scomodi da interpretare. Per la prima volta ho iniziato il cocktail di inibitori. Mi sento benissimo, non ho più la stanchezza degli ultimi quindici anni. Sto cercando di oscillare tra la gioia di questa ritrovata salute apparente e l'ansia degli esami di laboratorio che mi diranno se anche la chimica combacia con questo stare bene. Nel frattempo approfitto dell'ebrezza e della scarsa lucidità per analizzare la mia vita sotto punti di vista diversi. Cerco di immedesimarmi in altre vite, di vedere con altri occhi. Una vacanza dal raziocinio: se sbaglio, scusate, è colpa dei farmaci. A farne le spese è il mio fidanzato, che non vuol dare senso reale alla mia euforia e la ascrive al farmaco. Ad ogni romanticismo ritrovato ribatte con "non ci credo, è il Sustiva". In compenso mi sembra che mi stia ritornando un po' di culo, in tutti i sensi.
Anche una coppia "mista" (hiv+/hiv-) amica nostra sta passando un bel periodo. Niente più farmaci e i loro effetti collaterali ma tanti seminari e corsi di medicine alternative. Tra l'altro questi incontri sono costosi. Io sono straziato da questa loro decisione e temo il peggio. Un amico mio commenta: "Ne ho tanti di amici che dicono che non esiste il virus e non servono i farmaci, ma adesso sono tutti quanti al cimitero". A me pare vogliano fermare la proiezione del film su di un fotogramma senza accorgersi che poi la pellicola prende fuoco.
Sono molto legato alla pellicola, ai suoi limiti, ai suoi splendori tecnici. A suo tempo non riuscivo ad adattarmi a vedere le opere fuori circuito di Visconti o di Pasolini attraverso un cinescopio. Ora approfitto della diffusione del VHS e mi rivedo la filmografia gay scopiazzata piratescamente presso gli amici più colti e forniti. Si abbandona il feticcio quando ci si sente vicini all'essenza, all'anima. Meglio un bel film in VHS che uno brutto in DVD.
Spero che Rete4 continui la programmazione di film gay perché vederli in tivù, beh, sembra di essere in un mondo civile. Fino al prossimo rogo o elezioni o campagna moralizzatrice o integralismo religioso. Questo Ministro della Sanità che non china il capo davanti ad un papa mi dà tanta speranza per il futuro. Sentir parlare di preservativi sul TG1 anziché di comportamenti a rischio.
Questi poveri pezzi di gomma senza nome, sempre chiamati con eufemismi: preservativi, profilattici... se andiamo avanti così, per non nominarli, li chiameranno precauzioni: "Vorrei una scatola di precauzioni con serbatoio". In inglese hanno un nome: condom. Potrebbe entrare nel nostro dizionario come test o come film.