Come dire al tuo fidanzato che sei sieropositivo.
di Pigi Mazzoli
Pubblicato in "Pride", novembre 2000
Confessare la propria sieropositività è una cosa difficile.
Pure a se stessi. Tanto difficile che spesso è più facile rimuovere il risultato del test dicendosi: "Si sono certamente sbagliati" e dimenticando la cosa. Finché anni dopo, in ospedale, ricoverati per qualche improvviso male, ci rifanno il test e ci riportano alla realtà, ma questa volta il virus ha già devastato il sistema immunitario e non ci sono più speranze di cura, di ritorno. Un copione troppe volte vissuto da amici, da conoscenti che avrebbero potuto forse essere ancora qui ma che hanno fatto della rimozione del male un'arma che si è rivoltata contro di loro. Hanno avuto tanti segnali del virus che avanzava ma hanno voluto non sapere, il loro inconscio li ha tenuti all'oscuro. Non è pazzia: ma come considerarli colpevoli se consciamente non sapevano di essere infetti? Se la loro psiche non poteva sopportare una verità tanto destabilizzante?
Non tutti reagiscono in questo modo. Alcuni si rendono conto e si corazzano verso l'esterno, non lo dicono a nessuno. Continuano a dissimulare comportandosi come sempre con gli altri, ma i loro gesti diventano privi di significato: vivono nell'attesa che qualcosa di tremendo succeda, pensando a come affronteranno, a come dissimuleranno anche quel momento. Ma anche se i gesti son quelli di sempre loro diventano altro.
Il primo passo è di aprirsi ad un amico, quello più fidato. Quello che credi che non ti rinfaccerà il virus come se fosse una tua colpa, quello che saprà tenere la bocca chiusa senza spifferarlo a tutti (orrore!), quello che potrà aiutarti quando starai male e sarai solo. Terribile compito essere sieronegativi e ricevere la confessione di un sieropositivo. Ci si sente inutili ed impotenti. Cosa fare oltre a cercare di essere vicino e a sopportare ogni stranezza dell'amico? Saremo capaci di capirlo davvero nel suo terribile percorso per poterlo veramente aiutare? Gli staremo vicini per un senso di solidarietà (perché noi siamo buoni) o abbiamo veramente voglia di percorrere con lui la strada della paura e della disperazione? Siamo sicuri che ci sia una via di uscita? Ci crediamo veramente quando diciamo: "Guarda che la medicina fa progressi ogni giorno, vedrai che tu te la cavi."?
Un amico, un secondo amico, il medico di famiglia, uno alla volta vengono aggiornati, messi di fronte alla situazione. A questo punto il nostro mondo si divide in due: quelli che sanno e quelli che non sanno. Io mettevo una crocetta di fianco ai nomi sulla rubrica: per non fare pasticci, dissimulare con uno e aggiornare l'altro.
Un passo alla volta e si va avanti. Ma non tutti i gradini sono uguali. Arriva il momento del muro invalicabile: ci fidanziamo. Dal primo approccio il pensiero è fisso a: "Quanto è bono, quanto è attraente, se glielo dico ora mi scappa e non lo vedo più. Lo dico più avanti quando ci si conosce meglio.". Ed ogni giorno, ogni appuntamento, ogni scopata è un "peccato" in più che appesantisce la "colpa" del silenzio: "L'avessi detto subito avrei fatto bene, ma ora che ci ho scopato potrebbe incazzarsi. Devo trovare il momento giusto, le parole giuste.". Non possiamo stare così male: "...in fondo non siamo così colpevoli, non l'ha detto nessuno che lo si deve dire.". Vero.
Ma non tutti hanno il coraggio di proporre al nuovo fidanzato il sesso sicuro, a volte è lui che insiste per farlo "naturale", tanto "ormai siamo fidanzati e non due sconosciuti". Non ci si protegge, anzi, non si protegge quel bonazzo che ci siamo trovati di fianco. Non lo si può più dire. Situazione irreale? No, frequentissima. Lui lo scoprirà al primo ricovero in ospedale. Oppure al primo test di coppia, sperando che non si sia già infettato. Come buttare via la vita, un amore, solo per non aver avuto il coraggio di dirlo, od almeno di imporre il sesso sicuro. Non scandalizzatevi: ho parlato di un muro, non ho esagerato. Cercate di capire cos'è la vita quando porti dentro questo segreto, che valore ha. Quante forze ti sono rimaste per combattere? Ti aggrappi all'ultimo brandello di felicità che ti viene alla mano, dovesse durare anche solo un giorno. Non guardi in faccia nessuno, un po' di felicità spetta a tutti. Tanto non c'è un futuro. E se c'è fa proprio schifo.
Io ci misi un anno a dirlo alla persona meravigliosa che avevo incontrato. E non lo dissi perché ero rinsavito e speravo di creare un rapporto sincero e duraturo. No. Lo dissi per essere lasciato, meglio solo, perché non sopportavo più i sensi di colpa di quel rapporto reticente che portavo avanti da un anno. Dove ogni giorno provavo mentalmente il discorso da fare. "Dovrei dirti una cosa che non ti farà piacere... Io non so se tu potrai perdonarmi... Seriamente, cerca di capirmi... Ho bisogno di parlarti e non so come reagirai...": tutte frasi provate mentalmente in macchina, in bagno, mentre lui parlava, mentre si stava tra amici o prima di dormire. La mia faccia fingeva partecipazione ma la mia mente era ferma in quel punto, davanti a quel muro. Un anno buttato via. Perché alla mia rivelazione lui non fuggì ma anzi mi amò di più. Non so se è sempre così, lui era uno con un gran cervello e un grande cuore.
Io avevo saltato il muro a pié pari. Guardando indietro non mi sembrava poi tanto difficile. Avevo la stessa impressione di quando avevo fatto il coming out: prima sembra terribile, dopo tutto è leggero e meraviglioso. Certo, avevo fatto sesso sicuro fin dal primo incontro, a volte dovendo persino litigare per farlo col preservativo, si sentiva offeso dalla mia sfiducia nei suoi confronti (certo! Pensava che io volessi proteggermi da lui. Mai avrebbe immaginato che io volessi proteggerlo da me). Ma ora era tutto a posto, tutto perfetto e non mi sembrava di aver fatto nulla di male, solo avevo tardato un po' nel metterlo al corrente.
Un mio caro amico si ritrovò nella stessa situazione. Era appena diventato sieropositivo ed era appena ritornato singolo. Incontrò ai cessi della stazione l'uomo della sua vita. Lo conosceva da tempo, ma allora erano entrambi fidanzati. Ora erano entrambi singoli. Troppo rischioso dichiarare subito la sieropositività. Sentiva che quello sarebbe stato l'unico uomo che sarebbe mai stato capace di amare, l'unico che aveva mai desiderato così tanto e da tanto tempo. Non disse nulla. Fecero sempre sesso sicuro. Dopo un paio di mesi, quando il loro rapporto era già armonioso, fecero insieme il test. Finse di esserlo appena diventato. Continuarono ad amarsi, io credo ancora di più. Solo dopo molti anni ebbe il coraggio di rivelargli il suo piccolo sotterfugio. Sono ancora assieme dopo 15 anni.
Io non voglio più vivere nell'ansia, neppure per una scopatina in dark vorrei i sensi di colpa per non averlo detto. Ormai lo dico sempre. L'ho detto a mamma (peggio che dirlo ad un fidanzato: lei non può scappare). Lo dico a tutti, che si passino parola, meno lavoro per me. Lo dico ancor prima del rimorchio. Meglio che scappino nove pretendenti su dieci ma quello che resta sarà uno coi coglioni. Non voglio portare a letto chi che se ne fa tre a sera e poi scappa davanti a me inorridito dalla paura. "Sono sieropositivo." "Beh, detto così...". "Così come?" vorrei urlargli. Ma non ho più astio. Non penso più che il mondo sia diviso in due: chi ce l'ha e chi non ce l'ha. Tanto chi ce l'ha è sicuro di avercelo, ma chi non ce l'ha non ne può essere sicurissimo (ah, l'effetto finestra, croce di ogni test).
Tre anni fa ero di nuovo felicemente singolo, ho conosciuto una sera un ragazzo veramente fantastico, proprio simpatico. Prima cosa gli ho detto del mio hiv+. Sorpresa: aveva fatto volontariato con malati terminali di AIDS. Meraviglia, non ha neppure tirato fuori le solite frasi di circostanza (che sono di solito sincere, ma a sentirsele dire ogni volta diventano pure stucchevoli), ne abbiamo parlato con sincerità e senza ipocrite delicatezze, poi siamo passati ad argomenti più interessanti. Dopo 12 giorni gli ho fatto la dichiarazione d'amore. Ora l'hiv ci fa (cattiva) compagnia quasi solo a letto, ma lo teniamo a bada con preservativi e guanti. Non lo avessi detto subito chissà quando e come avrei potuto dirglielo. Anche se ci sono abituato è sempre difficile dirlo.
Torniamo al titolo. Ecco il mio consiglio: non c'è frase che possa rimediare alla nostra sfiducia e alla paura dell'altro. Veramente volete vivere un rapporto in cui di mezzo c'è ansia, sensi di colpa, paura di essere lasciati? Non vale la pena di dirlo subito? Con le proprie semplici parole. Se quello che vi sta di fronte è veramente la persona eccezionale che credete allora senz'altro resterà lì davanti a voi e allargherà le braccia per stringervi protettivo per tutto il male che saprà che vi è stato fatto dal virus ma anche dagli uomini.
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